mercoledì 13 luglio 2011

RISORSA MARCHE


Grottammare (AP) Domenica 17 luglio a partire dalle ore 17,15



Il programma prevede:

alle ore 17,15 il ritrovo in Piazza Peretti (paese alto di Grottammare) per una visita guidata al suggestivo vecchio incasato marinaro.


Alle ore 18 presso il teatro dell'Arancio Incontro dibattito sul tema:
IL WEB 2.0 E LE OPPORTUNITA' DELLA RETE

introduce

Pietro Colonnella

(Responsabile nazionale organizzazione Associazione Lavoro & Welfare)

coordina

Simone Splendiani

(Consigliere Comunale di Grottammare)

saluto

Luigi Merli

(Sindaco di Grottammare)



interventi:

La TV di oggi, le TV di domani
Mario Lazzari

(Lavoro & Welfare Marche)

Web 2.0 risorsa per le comunità locali
Enrico Piergallini

( Vicesindaco di Grottammare)

Web 2.0 ed espansione della democrazia
Gianluca Pompei

(Lavoro & Welfare S. Benedetto del Tronto)



parteciperanno

Paolo Petrini

(Vice Presidente Regione Marche, delegato gestione Fondi Unione Europea sviluppo e infrastrutture telematiche)



Laura Maggiulli

(Responsabile Sviluppo Banda Larga Regione Marche)



Adriano Gattoni

(Responsabile E-Government e Banda Larga UPI Marche)



Seguirà, intorno alle ore 19, presso la Chiesa di Santa Lucia un Concerto d'organo del Maestro Gianluigi Spaziani su organo storico (Francesco Fedeli, 1752) e del soprano Romina Assenti.




Curriculum Romina Assenti
Il soprano lirico Romina Assenti si è diplomata in Canto al Conservatorio "G.Rossini" di Pesaro nel 1999.

Ha perfezionato la sua tecnica vocale con il basso Andrea Concetti e con i soprani Stefania Donzelli e Antonella Muscente.

Ha potuto affinare la sua preparazione grazie allo studio con maestri di caratura internazionale quali Mirella Freni, Gianni Raimondi, Gabriella Tucci, Dario Lucantoni all'Ateneo Internazionale della Lirica di Sulmona, Magdalena Aparta all'Accademia Musicale Giuliese, Michele Pertusi, Sonia Ganassi, Annunziata Lia Lantieri, Luciana D'Intino, Paolo Barbacini, Silvia Baleani, Roberto De Candia, Aldo Sisillo, Paolo Arrivabeni all'Accademia Harmonica del regista Francesco Esposito a Modena con il quale ha approfondito l'arte scenica (metodo Stanislavskij).

Ha frequentato nell’anno 98/99 il Corso di metodologia "Orff -Schulwerk" a Roma diretto dal M° Giovanni Piazza.

Nel giugno del 2000 ha interpretato Arsinoe nel dramma eroi-comico "Aristide" di A. Vivaldi sotto la direzione del M° Guerrino Tamburrini.

Nel Concerto di Capodanno 2002 ha cantato come solista nella "Fantasia Corale" Op.80 di Ludwig van Beethoven al Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno sotto la direzione del M° Josè Maria Sciutto.

Nell'anno 2003 ha partecipato alla Masterclass organizzata dall'Associazione Musicale “F.J.Haydn" esibendosi come solista in un concerto di musica sacra accompagnata all'organo dal M° Ennio Cominetti.

Nel giugno 2004 si è classificata 3° al XIII Concorso Lirico Nazionale Riviera della Versilia "Daniele Ridolfi" a Viareggio organizzato dall'Associazione Amici della lirica.

Romina Assenti svolge un'attività concertistica come solista che l'ha vista, tra l'altro, inaugurare il Festival di Pentecoste di Ascoli Piceno nel maggio 2008 con la Petite Messe Solennelle di Gioacchino Rossini e concerti lirici diretti dal M° Alfredo Sorichetti.

Nella produzione dell'agosto 2008 del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno ha cantato nel ruolo del Paggio nell'opera Rigoletto di Giuseppe Verdi andata in scena in Piazza del Popolo ad Ascoli Piceno sotto la direzione del M° Fabrizio Maria Carminati e la collaborazione dell'Orchestra Internazionale d'Italia.

Nell'estate 2008 si è esibita in un concerto di arie d'opera presso il Teatro dell’Opera di Trier (Germania) accompagnata dalla Philharmonisches Orchester de Stadt di Trier diretta dal M° Alfredo Sorichetti.
Sotto la direzione del M° Alfredo Sorichetti, ha cantato come solista: nel settembre 2008 nei Carmina Burana di Carl Orff al Teatro Annibal Caro di Civitanova Marche, nel Concerto di Capodanno 2009 accompagnata dalla East European Philharmonic Orchestra al Teatro Annibal Caro di Civitanova Marche, il 21 marzo 2009 nella Via Matris di Salvatore Calabrese in prima esecuzione con l'Ensamble Strumentale del Molise e il Coro del '700 Italiano nel Santuario di Castelpetroso in Molise, il 5 aprile 2009 il Salve Regina di G.B. Pergolesi e il Gloria di A.Vivaldi con la partecipazione dell'Orchestra e Coro del'700 Italiano al Teatro Annibal Caro di Civitanova Marche.

Il 24 maggio 2009 ha interpretato i ruoli di Adina, Mimì e Violetta in una selezione in forma semiscenica delle opere "L'Elisir d'amore" di G.Donizetti, da "La Bohème" di G.Puccini e da "La Traviata" di G.Verdi al Teatro Francesco Paolo Tosti di Ortona (CH).

Ha cantato in vari Concerti lirici di beneficenza a favore delle popolazioni abruzzesi colpite dal terremoto tra i quali il 2 giugno 2009 al Teatro Fenaroli di Lanciano e il 5 agosto 2009 al Teatro Comunale di Larino (IS).

Il 4 luglio 2009 si è esibita nello spettacolo “Invito all’Opera” promosso dall’ANT di Civitanova Marche dove ha interpretato arie e duetti da L’Elisir d’amore, da La Bohème e dalla Traviata in forma semiscenica.

Il 10 luglio 2009 ha inaugurato la Biennale “Tuttoingioco” di Civitanova Marche cantando come solista con l’Orchestra e Coro del ‘700 Italiano e con il suo Direttore musicale Alfredo Sorichetti interpretando il Gloria ed il Magnificat di Antonio Vivaldi.

Il 7 dicembre 2009 si è esibita al concerto “Invito all’Opera” al Teatro Comunale di Treia interpretando arie e duetti da L’Elisir d’amore, da la Bohème e dalla Traviata in forma semiscenica.

Il 7 febbraio 2010 ha cantato in un concerto lirico al Teatro delle Logge di Montecosaro alla serata inaugurale per la stagione dedicata al grande soprano montecosarese Anita Cerquetti.
Il 13 marzo 2010 ha cantato il Salve Regina di G.B. Pergolesi al concerto “Armonie fra cielo e terra” in onore di Padre Matteo Ricci e Giovanni Battista Pergolesi al Teatro Moriconi di Jesi. Il concerto è nato dalla collaborazione tra la Diocesi di Macerata, la Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi e i Rotary Clubs delle due province.
Il 16 agosto 2010 ha cantato come solista la Messa di Sant’Ignazio di Domenico Zipoli nella chiesa di S. Paolo a Civitanova Marche concerto facente parte del ‘700 festival diretto dal M° Alfredo Sorichetti.
E’ docente di Canto presso la Scuola di Musica “Gilfredo Cattolica” di Civitanova Marche.

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lunedì 4 luglio 2011

Relazione di Stefano Fassina alla Conferenza Nazionale di Genova "Persone, lavoro, democrazia".


"Noi raccogliamo la sfida dell’innovazione progressiva: valorizzare il lavoro come fonte di identità della persona e fondamento della democrazia". Relazione di Stefano Fassina alla Conferenza Nazionale per il Lavoro
di Stefano Fassina, pubblicato il 17 giugno 2011 , 2537 letture
Oggi, siamo al passaggio conclusivo di un lungo percorso. È stato un percorso aperto. Un percorso di apprendimento collettivo. Abbiamo incominciato a costruire una lettura condivisa. Una consapevolezza comune. Abbiamo riscontrato quanto articolata e variabile è la condizione del lavoro oggi in Italia.

Abbiamo incontrato gli operai della Vynils a Porto Torres e a Porto Marghera, quelli della Fiat a Termini Imerese, a Pomigliano, a Mirafiori e quelli di Fincantieri qui a Genova e a Castellammare. Le donne e gli uomini della Thyssen e della Basel a Terni. Gli ingegneri informatici dell’Eutelia. I precari delle pubbliche amministrazioni, offesi dal Ministro Brunetta, al quale ribadiamo la richiesta di dimissioni. I precari dei call center. Gli artigiani della provincia di Verona ed i giovani avvocati a Roma. I micro-imprenditori de L’Aquila e gli insegnanti a Palermo.

Il lavoro nel primo scorcio del XXI secolo si esprime in una straordinaria varietà e variabilità di condizioni materiali, storie personali e collettive. Anche conflitti fondati su interessi diversi, non su un’ideologia antagonista come racconta la vulgata del Ministro Sacconi. Un tratto comune, sotto traccia, esiste. E’ la domanda di dignità del lavoro. E’ la volontà di affermare il lavoro come fonte di dignità della persona e pilastro della Costituzione. E’ la disponibilità a convergere su un progetto di cambiamento progressivo per l’Italia.

La sfida investe il “senso del lavoro”, prima ancora che il piano programmatico. E’ la sfida che la “Caritas in veritate” di Benedetto XVI, l’analisi più lucida della grande transizione in corso, pone alla politica. E’ la sfida sulla quale siamo impegnati: ridefinire il senso del lavoro per affermare, nel quadro di un’economia globale oggi senza regole democratiche, un “neo-umanesimo integrale”.

E’ una sfida ambiziosa in un “tornate storico” difficile. E’ sbagliato insistere a definire “crisi” la fase in corso. Siamo, in realtà, in una “grande transizione” geo-economica, geo-politica, tecnologica e demografica. E’ una fase di straordinario cambiamento. Il punto politico è: quale cambiamento? Il futuro è già scritto? L’alternativa in campo è resistere o cambiare lungo la strada della modernità regressiva? Nella divisione sindacale su “Fabbrica Italia” abbiamo avvertito il rischio di cadere nell’alternativa tra resistenza e rassegnazione.

No, l’alternativa non è resistere o cambiare. Innovare è necessario. Ma, l’alternativa è nel segno dell’innovazione. Progressiva o regressiva? In altri termini, la politica può tornare a regolare l'economia, oppure deve rimanere ancella ed eseguire le ricette dettate da ristrette oligarchie economiche e messe in bella forma da una parte delle forze intellettuali dell'accademia e dei media?

Oggi, il lavoro subisce rapporti di forza sfavorevoli come mai è stato nel secolo alle nostre spalle. Il capitale fa shopping globale di lavoro. Gli strumenti istituzionali, politici e sindacali per affermare il lavoro sono spuntati in quanto chiusi nello Stato nazionale. Così, in nome della possibilità di lavorare, le persone, prima che le organizzazioni sindacali, devono accettare ulteriore regressione delle condizioni del lavoro. Questa è la chiave per comprendere la vicenda Fiat e tante altre vicende, avvenute ovunque senza titoli di apertura dei media, nel ventennio alle nostre spalle. L’a.d. di Fiat-Chrysler fa il suo mestiere. Tuttavia, l’interesse legittimo della proprietà dell’impresa non è l’interesse generale. L’interesse dell’impresa diventa interesse generale quando è combinazione virtuosa di due interessi distinti: la proprietà dell’impresa ed il lavoro. È un patto, non è un atto unilaterale in nome di una modernità integralista.

La nostra sfida

Noi raccogliamo la sfida dell’innovazione progressiva. La nostra sfida è valorizzare il lavoro come fonte di identità della persona e fondamento della democrazia. La nostra stella polare è l'art 1, l'art 3 e l’art 4 della nostra insuperabile prima parte della Costituzione. Il lavoro inteso nella sua generalità. Innanzitutto, l’anello più debole della catena, l’area sociale che più ha sofferto l’offensiva liberista: il lavoro subordinato, in tutte le sue forme, esplicite o coperte dal contratto a progetto o dalla Partita Iva. Poi, il lavoro autonomo vero. Il lavoro professionale. Il lavoro dell'imprenditore datore di lavoro. Oggi, nella recessione, siamo tutti nella stessa barca. Vero. Ieri, quando i profitti c’erano, eravamo su barche diverse. Pochi saltavano avanti. Troppi rimanevano indietro.

La nostra è in primo luogo un’opzione etico-politica. Ma, è anche un’opzione per lo sviluppo sostenibile. Equità e sviluppo vanno insieme. L’equilibrio saltato tra il 2007 e 2008 era insostenibile in quanto sorretto dalla regressione del lavoro nelle economie mature e dalla conseguente massiva concentrazione del reddito e della ricchezza. La finanza allegra era funzionale ad alimentare a debito la macchina dei consumi. Oggi, siamo prigionieri della stagnazione nelle economie mature perché, invece di invertire il senso di marcia, insistiamo nella regressione del lavoro, direttamente nel mercato del lavoro o smantellando il welfare.

Il nuovo non è neutro. Spesso è passato remoto camuffato da modernità. Noi vogliamo dare un segno progressivo all’innovazione. E’ difficile, ma è possibile. Gli eventi degli ultimi mesi lo dimostrano.

Le domande delle piazze del Maghreb sono domande di lavoro, di miglioramento delle condizioni materiali di vita. Certo. Ma sono sopratutto domande di libertà, di dignità della persona.

Sono le stesse domande che assillano i protagonisti dei due video iniziali. Le domande dei giovani precari e disoccupati a all'angolo di Porta Portese a Roma prima della bella manifestazione “Non +” del 9 Aprile scorso e le domande degli adulti, i quarantenni e cinquantenni "sprecati".

Sono le stesse domande che il centrosinistra e, in particolare, il Pd hanno incrociato nelle recenti elezioni amministrative e nei referendum di settimana scorsa. Sono domande di recupero di centralità della persona, di riappropriazione della politica, di riavvio della regolazione democratica dell’economia. Noi siamo riusciti ad intercettare la domanda di cambiamento progressivo perché abbiamo messo in campo un profilo identitario autonomo ed adeguato. La nostra responsabilità oggi è dare risposte operative efficaci per promuovere i beni pubblici. Non si può tornare indietro.

Attenzione: qui c'è uno snodo politico decisivo. Le domande di cambiamento progressivo rischiano di rimanere senza risposta perché la politica, prigioniera degli Stati nazionali, non è all’altezza dell’economia globale. Non a caso, nell'UE, si rafforzano ovunque, anche nei porti un tempo sicuri delle democrazie nordiche, i populismi nazionalisti. Non a caso, dilagano le proteste degli "indignatos" a Puerta del Sol o davanti al Parlamento di Atene segnate anche dall’antipolitica. Le democrazie nazionali non hanno strumenti adeguati per rispondere alle domande. Questione democratica e questione sociale sono insieme, ma rischiano il cortocircuito. La debolezza della democrazia ha le stesse radici della debolezza del lavoro. Il futuro del lavoro è il futuro della democrazia.


Padri e figli

Oggi, siamo di fronte ad una "emergenza giovani". Non solo precarietà, ma disoccupazione ed inoccupazione. Il bassissimo tasso di occupazione giovanile, riflesso di chi cerca lavoro e non lo trova e di chi non lo cerca più perché scoraggiato, deve diventare la nostra ossessione quotidiana. Le condizioni delle giovani generazioni sono drammatiche.

I giovani sono l'area di sofferenza più acuta di uno smottamento che ha segnato l'insieme del variegato universo del lavoro del settore privato. Non soltanto le fasce più in basso, ma anche, ecco la novità economica e politica, la stragrande maggioranza delle classi medie. Il 90% dei lavoratori ha perso reddito e ricchezza a vantaggio del 10% più in alto.

Emergenza giovani. Ma, l'interpretazione duale delle condizioni del lavoro non regge la prova dei dati di realtà. L'universo del lavoro del settore privato, in particolare del lavoro sostanzialmente subordinato, non é divisibile in figli precari e padri garantiti. La formula magica "meno ai padri, più ai figli" ha portato "meno ai padri e ancora meno ai figli".

I padri garantiti non sono i lavoratori con qualche residua ed illusoria tutela, come indicano le gravi crisi aziendali ricordate prima. Ma, aree estese di rendita resistono tenacemente nell’economia. Lo dimostrano i dati vergognosi sulla mobilità sociale. Da noi, la metà dei figli eredita la posizione sociale ed economica della famiglia. Insomma, la principale linea di conflitto è sociale, prima che generazionale. Il vento del cambiamento deve portare concorrenza e merito.

Allora, per rispondere davvero alle sempre più angosciate domande di futuro delle generazioni più giovani dobbiamo affrontare il nodo del sentiero di sviluppo e dei modelli di consumo e dell’ordine sociale promosso dalle politiche liberiste per un trentennio. Per rispondere alle aspettative delle giovani generazioni dobbiamo alzare lo sguardo.


Il rilancio politico dell’Unione Europea

Che fare?

Lo abbiamo indicato nel nostro Programma Nazionale di Riforma discusso con le parti sociali il 21 Marzo e proposto, inutilmente, al Ministro Tremonti per la discussione parlamentare.

La politica economica comune definita dai governi di centrodestra in Europa va riorientata. La governance economica comune ha fatto passi avanti. Ma la direzione di marcia è sbagliata. Sappiamo tutto sul livello dei debiti sovrani e delle fragilità bancarie. Conosciamo i decimali delle previsioni di inflazione. Mai sentiamo dire che dalla metà del 2008, nell’UE 7 milioni di uomini e donne hanno perso il lavoro, circa 1 milione in Italia, inclusi i cassaintegrati. Innanzitutto i più giovani.

L’Unione europea deve dotarsi di un motore autonomo di sviluppo alimentato dal sostegno alla domanda interna. La linea mercantilista dei governi di centro-destra, giocata sulla ulteriore destrutturazione dei rapporti di lavoro e sui tagli al welfare, porta l'UE ha sbattere. Ogni giorno diventano più elevati i rischi di rottura. Oggi, l'ostacolo alla ripresa è la carenza di domanda aggregata. Sono necessari investimenti, in particolare nella green economy, fonte straordinaria di occupazione di qualità, da finanziare attraverso eurobonds, la Financial Transaction Tax, la tassazione ambientale. Inoltre, è decisiva la redistribuzione del reddito, sia per via contrattuale sia attraverso le politiche di bilancio.

Noi vogliamo dire la verità, una scomoda verità, alle generazioni più giovani: senza una strategia europea orientata allo sviluppo sostenibile, l'occupazione giovanile di qualità rimane una chimera. Il Pd non è solo in Europa. Non combattiamo contro i mulini a vento. Nella UE, gli altri partiti progressisti sono sulla nostra stessa lunghezza d’onda. Settimana prossima Bersani incontra a Bruxelles gli altri leader progressisti europei per portare avanti un’agenda alternativa comune. Siamo insieme alla Confederazione Europea dei Sindacati, l’organizzazione unitaria di tutti i sindacati europei, la cui neo-eletta Segretaria Generale, Bernadette Ségol è qui con noi.

Oggi siamo lontani dall’obiettivo. Ma non dobbiamo scoraggiarci. Quanto era lontano per Altiero Spinelli l’obiettivo di una comunità europea quando, nel 1941, in un carcere fascista, scriveva “Il Manifesto di Ventotene”? Qualche giorno fa, di fronte alla miopia dei governi di centrodestra europei, sono state ricordate le parole di Jean Monnet: “L’Europa si costruirà sulle crisi e sarà la somma delle soluzioni apportate a tali crisi”.

La realizzazione dell’euro è stato il più grande atto di responsabilità nei confronti delle giovani generazioni. Ma Amato, Ciampi, Prodi, Napolitano e gli altri statisti europeisti lo hanno posto come prima tappa di una svolta politica. Purtroppo, non si è andati avanti abbastanza. Le forze progressiste devono rimotivare l’Unione Europea come strumento di democrazia effettiva e di promozione del lavoro nell’arena globale del XXI secolo.

I compiti a casa

L’insistenza sul rilancio progressista dell’UE non ci esime dai compiti a casa. Attenzione: la lettura duale dell’Italia declamata dal Ministro Tremonti è infondata. I dati smentiscono un Nord in corsa frenato da un Sud sempre più disperato. Come abbiamo indicato nel documento sul Mezzogiorno approvato dall’Assemblea Nazionale di Febbraio scorso, nel decennio pre-crisi le aree più dinamiche del Paese si sono allontanate dalla media europea più del Sud. L’Italia intera ha urgenza di riforme. La “Questione settentrionale” è questione nazionale tanto quanto lo è la “Questione meridionale”. La Lega ha perso le recenti elezioni perché ha continuato ad affrontare le domande del Nord su un piano di redistribuzione di risorse da soddisfare con l’appropriazione federalista. Non funziona. La questione settentrionale è questione di accumulazione, ossia di condizioni di competitività, di riforme.

Noi dobbiamo aprire una stagione di riforme nazionali. L’elenco è noto. Le riforme strutturali, innanzitutto la scuola pubblica umiliata dai tagli ciechi, le pubbliche amministrazioni, il fisco, le liberalizzazioni; le politiche industriali per l’innovazione e la green economy; gli investimenti nelle infrastrutture. Le priorità le abbiamo indicate nel nostro PNR. Servono un obiettivo storico: il tasso di occupazione femminile al 60% alla fine del decennio. Tre milioni di donne in più al lavoro. Un obiettivo sistemico. Una svolta per l’occupazione giovanile e meridionale. Una rivoluzione gentile.

Soltanto una stagione di riforme profonde può riavviare l’anemica produttività italiana. Purtroppo, il Governo Berlusconi per difendere tante posizioni di rendita ha polarizzato il nostro dibattito di politica economica sulla produttività del lavoro intesa come produttività dei lavoratori. Puntare sulla contrattazione di secondo livello per motivare i lavoratori e così innalzare la produttività è un contributo utile. Ma, il nostro problema di fondo è la produttività totale dei fattori, non la produttività dei lavoratori. L’anemia della nostra produttività dipende dai ritardi dei contesti produttivi: nelle infrastrutture e nella logistica, nei servizi pubblici e privati ai cittadini ed alle imprese, nei costi dell’energia, nel rispetto della legalità e nel civismo.

I nostri ritardi dipendono dagli incentivi perversi del nostro sistema fiscale, generoso con le rendite e punitivo con i redditi da lavoro e da impresa. Una perversione accentuata dai decreti sul federalismo fiscale che ha ridotto le tasse sulle rendite immobiliari senza toccare le rendite finanziarie e innalzato le imposte sul patrimonio aziendale di artigiani, commercianti e piccoli imprenditori.

I nostri ritardi dipendono anche dalla carenza di investimenti delle imprese e dallo scarso contenuto innovativo degli investimenti effettuati. Tra le nefaste conseguenze dei contratti low cost, oltre all’impoverimento della qualità della vita delle persone, c’è stato anche il disincentivo agli investimenti innovativi.

I nostri ritardi di produttività dipendono anche dalla qualità del management delle imprese. La differenza fondamentale tra l’Italia e gli altri grandi Paesi Europei e gli USA non è nella diffusione delle imprese familiari quanto nel fatto che nelle imprese familiari degli altri soltanto un terzo del management viene dalla famiglia, mentre in Italia supera i 2/3.

Infine, ma non ultimo, i nostri ritardi di produttività dipendono dall’assenza di soluzioni giuridiche, fiscali, amministrative, di politiche industriali in grado di valorizzare la nostra dimensione prevalente di impresa. Piccolo non è né bello, né brutto in se. Dipende dal contesto nel quale è inserito.

Un Progetto nazionale per l’occupazione giovanile e femminile.

L???emergenza della disoccupazione giovanile e femminile non può essere affrontata con interventi spot e toppe sullo status quo. Dobbiamo innovare radicalmente. Proponiamo un Progetto Nazionale per l’occupazione giovanile e femminile a cui concorrano, in modo coordinato e sinergico, con obiettivi certi e monitorabili, governo, regioni, province, comuni e parti sociali. I vincoli di finanza pubblica sono stringenti e vanno osservati. L’attuazione non può che essere graduale. Le risorse finanziare vanno recuperate dai fondi europei, nazionali e regionali e dai fondi interprofessionali per la formazione.

Il Progetto dovrebbe prevedere:
- l’eliminazione dei vantaggi di costo del lavoro precario rispetto al lavoro stabile, un integrazione fiscale per sostenere le pensioni dei lavoratori più giovani e meno tutelati e la drastica riduzione delle forme contrattuali.
- una riforma vera del contratto di apprendistato, non strumento per abbattere il costo del lavoro, ma contratto effettivamente a causa mista per garantire formazione adeguata e certificata, durata minima e massima congrua e accesso fiscalmente agevolato al lavoro stabile.
- il potenziamento dei servizi pubblici per conciliare lavoro e maternità ed un significativo aumento della detrazione fiscale per le mamme che lavorano.
- la defiscalizzazione per i primi tre anni di attività delle imprese avviate da giovani.
- un salario o compenso minimo, determinato in relazione ai minimi dei contratti nazionali di riferimento.
- la regolazione e la remunerazione degli stage.
- indennità di disoccupazione e tutele fondamentali per tutte le tipologie di lavoro, dipendente, autonomo, professionale.
- l’universalizzazione dell’indennità di maternità e il ripristino delle norme di contrasto alle “dimissioni in bianco”.
- la riforma della formazione professionale e della formazione continua.
- l’introduzione di uno Statuto per i lavoratori autonomi ed i professionisti.

Contratti, rappresentanza, democrazia nei luoghi di lavoro, governance delle aziende

Il CCNL va riformato, ma il CCNL è irrinunciabile. I contratti nazionali vanno ridotti di numero e assottigliati nella dimensione regolativa. Il secondo livello di contrattazione va valorizzato, ma non può vanificare il CCNL. Il contratto nazionale rimane uno strumento insostituibile per garantire coesione sociale e territoriale del paese e qualità delle strategie competitive.

È urgente definire le regole per la rappresentanza e rappresentatività sindacale e la democrazia nei luoghi di lavoro per soddisfare due requisiti: garantire l’esigibilità degli accordi sottoscritti e garantire la piena agibilità sindacale anche alle organizzazioni non firmatarie degli accordi. In tale quadro, consideriamo come base della discussione il documento unitario di CGIL, CISL e UIL del maggio del 2008, il quale è, a sua volta, incardinato nei principi vigenti per il pubblico impiego. Quindi: centralità delle RSU, ossia rappresentanze sindacali elette da tutti i lavoratori; misurazione e certificazione indipendente della rappresentatività delle singole organizzazioni in base al mix di iscritti ed elettori.
Per validare i contratti, tema di rilevanza costituzionale, riteniamo vada confermata la centralità della democrazia delegata, ossia la validazione a maggioranza del 50%+1. Riteniamo anche che vada riconosciuto, sia per i contratti aziendali che nazionali, alle organizzazioni sindacali non firmatarie e dotate nel loro complesso di una elevata rappresentatività o ad una ampia percentuale di lavoratori interessati dal contratto, il diritto di sottoporre l’esito del negoziato al referendum.
Un eventuale accordo separato sulle regole della rappresentanza e della democrazia sarebbe per il Pd insostenibile e miope. Le regole del gioco devono essere condivise. Soltanto regole condivise possono alimentare il consenso per rendere esigibili erga omnes le decisioni prese in una fase di contenimento dei costi del lavoro e di indurimento delle condizioni di lavoro.
Noi riteniamo che una legge sia utile per sostenere un accordo tra le parti. È strumentale e pericoloso l'improvviso innamoramento del Ministro Sacconi per la legge. È velleitario tentare di imporre una legge sulle regole della democrazia nei luoghi di lavoro a colpi di maggioranza parlamentare, soprattutto quando si tratta di una maggioranza parlamentare posticcia, netta minoranza nel Paese e la soluzione legislativa proposta è priva del consenso necessario al suo funzionamento. In una fase così difficile, avremmo bisogno di un Ministro all’altezza delle sue responsabilità istituzionali. Invece, da tre anni abbiamo a che fare con un Ministro intento a realizzare un suo disegno neo-corporativo nei contratti e nel welfare e a fare del lavoro l'unica variabile di aggiustamento dei problemi di competitività dell’Italia.
Infine, il diritto di informazione e partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici alle scelte strategiche delle imprese, come previsto dall’art. 46 della nostra Costituzione. Il PD ha presentato proposte di legge per il pieno riconoscimento dei diritti d’informazione e consultazione dei lavoratori, l’istituzione di comitati consultivi permanenti, la promozione del sistema dualistico di governance aziendale con l’inserimento di rappresentanti eletti dai lavoratori nei consigli di sorveglianza. Sono proposte sulle quali il PD chiede a tutte le forze politiche e sociali di misurarsi al più presto.


L’agenda di politica economica del governo

L’Italia è in uno scenario più difficile del '92-'93. Le tre principali variabili compensative degli effetti del pesante aggiustamento fiscale allora compiuto sono oggi assenti: non possiamo svalutare; non possiamo contare sull'effetto dell'abbattimento degli spread sui tassi di interesse; non possiamo affidarci al traino della domanda europea, in quanto i programmi di aggiustamento fiscale riguardano pesantemente tutta l'UE.

Noi abbiamo sostenuto, sin dall’estate 2008, che la priorità per ridurre il debito pubblico è l’innalzamento della crescita potenziale. Quindi, riforme strutturali, politica industriale, investimenti innovativi e spending review per ridurre e riqualificare la spesa. Il governo, per tutelare la coalizione della rendita, ha fatto il contrario. È andato avanti con tagli ciechi alla spesa, in particolare agli investimenti e aumenti surrettizi di entrate. Oggi, la linea comune decisa dai governi di centrodestra in Europa e le scelte sbagliate del governo italiano soffocano l’economia. Perseguire il pareggio di bilancio al 2014 implica recessione ed aumento della disoccupazione e fallimento degli obiettivi fissati. È un obiettivo irrealistico.

Il governo deve chiarire al più presto, in Parlamento, che cosa intende fare. Non tenti di scaricare le responsabilità sulle spalle di chi viene dopo. Se non è il grado di scegliere, subito perché i mercati non aspettano Scilipoti, segua il messaggio chiaro delle urne. Vada via.


Una riflessione sul Pd

L'impianto culturale della nostra posizione sul lavoro, la centralità del rapporto persona-lavoro-democrazia sarebbe stato difficile declinarla senza il contributo della pluralità di culture presenti nel Pd. L'amalgama qui è riuscito. È stato il risultato di un'intensa discussione ed elaborazione collettiva. Una sintesi innovativa ed adeguata alle sfide di fronte a noi.

Il Pd si è affermato nelle difficile tornata elettorale appena chiusa in quanto ha incominciato ad essere in campo con un profilo identitario chiaro ed adeguato. Ora, abbiamo la responsabilità di costruire uno schieramento largo intorno ad un programma di ricostruzione morale ed economica dell’Italia. Uno schieramento oltre i confini della politica. Uno schieramento in grado di raccogliere le energie positive, le forze fresche della società civile protagoniste della tornata delle elezioni amministrative e dei referendum. Uno schieramento largo e plurale all'altezza di una sfida di portata costituente, tanto sul terreno istituzionale che economico e sociale.

In conclusione

L'obiettivo del Pd è avviare la costruzione di un'alleanza tra le persone che lavorano. Non un blocco sociale omogeneo e statico, ma un’alleanza tra interessi diversi. Ricostruire il legame sociale unitario tra le persone per dare soggettività politica al lavoro. La soggettività politica del lavoro è condizione imprescindibile per dare anima, forza culturale ed etica all'alternativa politica. Il lavoro, nella grande transizione in corso, si propone come soggetto generale, non sommatoria di interessi parziali e corporativi.

In tale scenario, per fare le riforme necessarie, abbiamo bisogno di un patto di portata costituente. Un patto tra le forze politiche, sociali ed economiche consapevoli che, oggi, affermare l’interesse generale del Paese è condizione per perseguire legittimi interessi di parte.

Noi ci siamo. Noi non ci rassegniamo al declino del lavoro. Noi vogliamo contribuire a scrivere il cambiamento progressivo per un futuro di lavoro e di libertà.
Per le persone, per il lavoro, per la democrazia.
Per far tornare a sperare i ragazzi e le ragazze italiane ed europee.

martedì 24 maggio 2011

Documento Assemblea Nazionale “Persone, lavoro, democrazia”. Genova 17 e 18 giugno 2011


1.Il lavoro nell’epoca “dopo Cristo”

La grande riorganizzazione capitalistica su scala globale avvenuta negli ultimi decenni sospinta dalle politiche neoliberiste, ha fatto del lavoro nelle economie mature il soggetto perdente, con il forte aumento della disoccupazione, specie giovanile, il peggioramento delle condizioni di lavoro, la stagnazione delle remunerazioni. È stato inciso non soltanto il tenore di vita delle famiglie operaie, ma in generale sono state coinvolti larghi settori delle classi medie, sia in termini di condizioni effettive che di prospettive. Il lavoro nel suo complesso e non solo quello delle fasce più deboli e meno qualificate, si è impoverito economicamente e svalutato socialmente.

La crisi finanziaria esplosa nel 2008 segna il punto di rottura di un equilibrio insostenibile. Trova le sue vere origini proprio nella ripartizione del reddito e della ricchezza sempre più diseguale, a vantaggio di un capitale finanziario che non conosce frontiere, mentre sindacati e politica rimangono imprigionate nella dimensione nazionale. L’asimmetria nei rapporti di forza tra capitale e lavoro, tra economia e strumenti regolativi dello Stato-nazione, ha messo e mette in competizione al ribasso il lavoro e recide i rapporti sociali ed i legami territoriali che avevano connotato e temperato in passato il “fare impresa”.

Va riconosciuto che i processi che continuiamo a definire “crisi” rappresentano, in realtà, una grande transizione geo-economica, geo-politica, tecnologica, demografica e sociale. Pertanto, non ha senso cercare, lungo le vie del passato, il ritorno alla situazione ex-ante. Se l’Unione europea compie dei passi avanti nell’integrazione delle politiche economiche queste, sotto l’influenza dei governi di centro – destra, purtroppo non cambiano di segno. Non si coglie che siamo in una fase di straordinario cambiamento, da leggere ed affrontare con un paradigma culturale alternativo, centrato sulla persona che lavora, orientato a coniugare l’efficienza produttiva e la valorizzazione del lavoro. Il primo ostacolo da rimuovere per cogliere le discontinuità del tornante storico in cui ci troviamo è l’ostinato ed ideologico attaccamento nei media, nell’accademia, nella politica alle ricette di ieri. Dobbiamo costruire le condizioni culturali e politiche per ridefinire il compromesso sociale tra capitale, impresa e lavoro. Il lavoro non può essere la variabile di aggiustamento dell’economia su cui scaricare i costi della competizione globale. Non solo non è giusto, ma non funziona. La valorizzazione del lavoro, della persona che lavora, e la correzione delle disuguaglianze nei redditi e nelle opportunità è la strada maestra per uscire dalla crisi. Finita la finanza facile che l’aveva drogata, la domanda globale è frenata dalle crescenti diseguaglianze. E va ricordato che la produttività del lavoro dipende solo in minima parte dalla responsabilità dei lavoratori(trici). E’, innanzitutto, il risultato di una pluralità di fattori quali gli investimenti dell’impresa, l’impegno per la formazione, la qualità del management e, ancora, le condizioni di contesto, ossia dalle riforme strutturali (dalle pubbliche amministrazioni al fisco, dalla apertura alla concorrenza dei mercati di beni e servizi, alla scuola e all’università), la politica industriale e delle infrastrutture e, non ultimo, la funzionalità dell’assetto politico-istituzionale, incluse le regole delle relazioni industriali e della democrazia nei luoghi di lavoro, il livello di legalità e di civismo.

Va affermato che l’interesse del capitale e dell’impresa non è l’unico interesse in campo e tanto meno coincide con l’interesse generale. Anche “dopo Cristo” i lavoratori vanno riconosciuti come soggetto autonomo portatore di un interesse distintivo. Parziale, così come parziale è l’interesse del capitale e dell’impresa. Riconoscere questa differenza non vuol dire riproporre una visione antagonista, minoritaria e perdente. Vuol dire affermare che soltanto un patto tra diversi interessi può portare ad un nuovo equilibrio propulsivo per il successo competitivo delle imprese, il miglioramento del reddito e delle condizioni dei lavoratori(trici), il benessere della comunità. In tale contesto, il conflitto non è un fine in sé ma uno strumento della dialettica sociale.

Insomma, la modernità economicistica propugnata dalle destre e dall’aziendalismo miope non è l’unica modernità possibile. Certo, le condizioni del lavoro non sono indipendenti dal contesto della produzione. I diritti non possono essere astratti dalle condizioni materiali e dai rapporti di forza. Ma la regressione del lavoro non è una risposta moderna. Non funziona sul piano macroeconomico ed è inaccettabile sul piano etico.

Senza indulgere in concezioni “lavoristiche” ormai datate, occorre riconoscere che il lavoro non ha oggi nella costruzione dell’identità della persona una funzione totalizzante come in passato, in ragione della crescita di altri interessi e dimensioni dell’agire umano (dal consumo alle relazioni produttive extra-mercato). Tuttavia, resta, nella generalità dei casi, non solo lo strumento indispensabile per ottenere i mezzi necessari al sostentamento di sé e della propria famiglia, ma un fattore determinante di autorealizzazione personale, di integrazione e di riconoscimento sociale, di partecipazione attiva alla vita della comunità, di esercizio pieno dei diritti di cittadinanza. L’orizzonte del lavoro è, nelle parole della “Caritas in veritate” di Benedetto XVI, il neo-umanesimo integrale.

Creare le condizioni per uno sviluppo sostenibile sul piano ambientale, economico e sociale affinché tutte e tutti possano accedere ad un lavoro di qualità, sia esso nell’ambito del lavoro dipendente o di attività autonome frutto dell’iniziativa individuale, significa operare per un modello di sviluppo allo stesso tempo più produttivo e più umano, favorire la stabilità e la coesione sociale, rafforzare le basi della democrazia come indica la Costituzione.

Noi siamo per una modernità alimentata dalla dignità del lavoro. Una sfida difficile, ma possibile. È il tratto distintivo dell’identità del Partito Democratico.

2. La situazione italiana
Il nostro paese vive una vera propria emergenza lavoro, acuita dalla crisi economica internazionale, ma che affonda le sue radici in un mercato del lavoro strutturalmente caratterizzato da bassi tassi di occupazione, specie per le donne e i giovani, così come da molteplici dualismi di genere, generazionali e territoriali che i dati relativi al Mezzogiorno manifestano nelle forme più gravi.

A Marzo scorso, il tasso di occupazione è stato ancora al livello più basso dall’inizio della crisi. Solo l’utilizzo degli ammortizzatori sociali di cui le imprese hanno ripreso ad avvalersi fortemente nell’ultimo periodo, ha impedito l’ulteriore diminuzione del numero statistico degli occupati. È vero che il tasso di disoccupazione italiano (8,4%) è inferiore a quelli europei (UE 9,6%, Eurozona 10,1%). Ma, come ha segnalato la Banca d’Italia, esso è sottostimato visto che le statistiche non prendono in considerazione i cassaintegrati a zero ore e il rilevante numero di persone che, scoraggiate, cessano di cercare un lavoro e vanno ad ingrossare le schiere degli inattivi. Una misura più realistica colloca il tasso di disoccupazione intorno al 13%.

L’aspetto più preoccupante è la disoccupazione giovanile salita quasi al 30%. È un furto di futuro per le giovani generazioni già gravate da un tardivo inserimento nel mercato del lavoro e da rapporti di lavoro precari, spesso ripetuti nel tempo. Tuttavia, l’insicurezza del lavoro investe ormai anche i lavoratori(trici) cosiddetti “garantiti”, ossia quelli con contratto a tempo indeterminato in imprese con oltre 15 dipendenti, come provano i dati sulla perdita di lavoro, l’esteso ricorso alla cassa integrazione e il moltiplicarsi delle vertenze per le aziende in crisi.

Il peggioramento delle condizioni del lavoro e di reddito si è tradotto in una maggiore fragilità economica delle famiglie, peraltro non solo non sostenute dalle politiche di welfare, ma pesantemente colpite dall’aumento di tariffe e tasse e dai tagli lineari e ciechi alla scuola, all’università, alle prestazioni sociali ed ai servizi pubblici offerti da Regioni, Province e Comuni. Molte si sono impoverite, in particolare quelle numerose o monogenitoriali e residenti nel Mezzogiorno. I decreti attuativi del federalismo fiscale inaspriscono le scelte degli ultimi anni, regressive sul piano sociale e territoriale.

A fronte di questa realtà, il governo del centro-destra, che per lungo tempo ha perfino negato la gravità dell’impatto della crisi sul nostro paese, non ha assunto le iniziative necessarie né per favorire la ripresa della crescita né per sostenere l’occupazione. Abbandonata la politica industriale ereditata dal Governo Prodi (“Industria 2015”; crediti di imposta per investimenti, innovazione e ricerca; stanziamenti per la banda larga e le bonifiche industriali) e disinteressato a definire qualsivoglia alternativa, il Governo non è stato in grado di accompagnare il sistema delle imprese nella complessa fase di riorganizzazione produttiva a cui esso è sottoposto. Ha lasciato soli i lavoratori e i sindacati (il caso Fiat è emblematico da questo punto di vista) a farsi carico delle esigenze di produttività e di competitività delle aziende.

Per la competitività, anziché alle riforme, il centro-destra ha puntato ad un ulteriore regressione delle condizioni del lavoro. Basti pensare a certe disposizioni del così detto “collegato lavoro” o alla cancellazione delle norme contro le dimissioni in bianco approvate nel 2007 a tutela delle lavoratrici madri. Per la stabilizzazione dei rapporti di lavoro, ha agito in controtendenza rispetto alle misure di contrasto alla precarietà avviate dal “Protocollo sul Welfare” del governo Prodi del 2007, sottoscritto dalle parti sociali ed approvato con il voto di 5 milioni di lavoratori(trici).

La possibilità di contrastare e costruire un’alternativa a tale involuzione è stata significativamente ridotta dalla profonda divisione sindacale, fattore di indebolimento dei lavoratori(trici). Noi, nel rispetto dell’autonomia delle parti sociali, tentiamo di promuovere la comprensione delle diverse culture sindacali di fronte al passaggio di fase in corso e favorire la convergenza su punti fondamentali, come le regole della rappresentanza e della democrazia nei luoghi di lavoro.

3. Rimettere in moto l’economia
La possibilità di riassorbire la disoccupazione e di creare opportunità di lavoro, specie per le donne e i giovani, dipende, innanzitutto, dalla crescita dell’economia. Nel caso italiano questa è invece stagnante da troppo tempo, mentre anche le deboli prospettive di ripresa previste per l’Europa vedono in coda il nostro paese.

Ritrovare il cammino della crescita duratura e sostenibile richiede sia riforme strutturali in grado di liberare il sistema economico dalle costrizioni burocratiche e corporative e dalle rendite di posizione che lo frenano, sia un programma di investimenti infrastrutturali, pubblici e privati e politiche industriali per innalzare la specializzazione produttiva dell’Italia. È un cammino decisivo per ridurre i divari nord sud e mettere, quindi, in valore le potenzialità di sviluppo del Mezzogiorno nell’interesse dell’intero paese.

La strategia delle riforme riguarda ambiti diversi ma intrecciati tra loro: il fisco, per ridurre innanzitutto il peso del prelievo sul lavoro e sulle imprese e concorrere ad una meno sperequata distribuzione del reddito e della ricchezza; i mercati dei servizi alle persone ed alle aziende da sottoporre ad una forte liberalizzazione; le pubbliche amministrazioni, da riorganizzare a tutti i livelli in funzione di una maggiore efficienza e della qualificazione del lavoro pubblico.

Quanto alla politica degli investimenti pubblici e dell’incentivazione di quelli privati, gli interventi vanno rivolti in via prioritaria ad aumentare la produttività e la competitività dell’industria manifatturiera e dell’intero settore dei servizi. La sostenibilità ambientale, da vincolo, deve diventare motore di innovazione, di occupazione qualificata e di crescita. Per innalzare la produttività e contrastare la precarietà dobbiamo prima di tutto puntare sull’innovazione, la ricerca, il capitale umano così come sul completamento e sull’ammodernamento delle infrastrutture materiali e della logistica.

Un disegno di questa portata deve necessariamente misurarsi con i vincoli di finanza pubblica e con l’impegnativo ma ineludibile percorso di riduzione del debito. Ma deve essere chiaro che, senza una politica economica alternativa, orientata alla crescita e al lavoro, non si abbatte il debito pubblico. Per finanziare il cambio di strategia, si deve attuare una profonda riorganizzazione del settore pubblico per una connessa riduzione della spesa a tutti i livelli, per eliminare sprechi e riqualificare i servizi ai cittadini ed alle imprese (vedi “Un settore pubblico di qualità per rilanciare l’Italia”, documento approvato all’Assemblea Nazionale di Febbraio 2011). Inoltre, va ridefinita la governance e gli obiettivi per un utilizzo più intenso ed efficiente, in particolare nelle regioni meridionali, dei fondi strutturali europei (vedi “Per il Mezzogiorno, per l’Italia”, documento approvato all’Assemblea Nazionale di Febbraio 2011). Sul versante delle entrate, va realizzata uno spostamento del carico dal lavoro e dall’impresa alla rendita ed ai redditi da capitale (ad esclusione dei titoli di stato) e recuperate risorse dall’evasione e l’elusione fiscale, ancora oggi di proporzioni eccezionali rispetto alla media europea (vedi “Fisco 20, 20, 20”, documento approvato all’Assemblea Nazionale di Ottobre 2010).

Per le prospettive di rilancio della crescita nel nostro paese è decisivo l’orientamento macro-economico dell’Unione Europea. E’ quindi di grande importanza che questa abbandoni la politica economica restrittiva e la deriva mercantilista seguita fin qui per dotarsi di un “motore” autonomo di domanda con il duplice obiettivo di innalzare e di riequilibrare la crescita nelle diverse aree della moneta unica. Le scelte comuni dei governi di centro-destra prefigurano, invece, interventi di contenimento della dinamica salariale e della spesa sociale ed una gestione inadeguata dei debiti sovrani. Suscitano, pertanto, un rifiuto corale da parte del movimento sindacale europeo in quanto non sono in grado di cogliere gli obiettivi di crescita e di occupazione che pure vengono ventilati. Dopo aver scaricato sulle spalle dei cittadini il reperimento delle risorse da impiegare nel salvataggio del sistema bancario e finanziario, l’UE continua ciecamente a proporre un’austerità a senso unico a danno dei lavoratori(trici). Così si consolidano stagnazione ed elevata disoccupazione e si mette a rischio la moneta unica.

I cardini di una politica economica alternativa orientata alla crescita ed al lavoro sono una soluzione adeguata per la sostenibilità dei debiti sovrani, uno “standard retributivo” per legare la dinamica reale delle retribuzioni all’andamento di una misura aggregata della produttività e un programma di investimenti comunitari per l’occupazione, l’ambiente e l’innovazione alimentato da risorse raccolte, in via principale, con l’emissione di titoli del debito pubblico europeo (eurobonds) e dall’introduzione di un’imposta sulle transazioni finanziarie, secondo le indicazioni del “Patto europeo per il lavoro e il progresso sociale” proposto dal PSE.

4. Rendere il mercato del lavoro più inclusivo
La crescita economica costituisce la pre-condizione per una maggiore occupazione. A complemento, è necessaria l’adozione di politiche specifiche volte ad aumentare la partecipazione al mercato del lavoro delle figure sociali oggi troppo debolmente presenti. Come si è già visto, si tratta, in primo luogo, di donne e giovani. Il tasso di occupazione delle donne è largamente al di sotto delle medie europee ed è particolarmente grave nel Mezzogiorno, dove quasi due donne su tre non lavorano. A parte ogni altra considerazione, si tratta dal punto di vista economico di un spreco di grandi proporzioni. Il raggiungimento del tasso di occupazione femminile del 60% al 2020, ossia 3 milioni di donne in più al lavoro entro la fine del decennio è l’obiettivo strategico al centro del Programma Nazionale di Riforma proposto dal PD. Una rivoluzione gentile non soltanto economica, ma sociale e soprattutto culturale.

Promuovere opportunità di lavoro per le donne richiede una pluralità di misure mirate. È decisivo potenziare i servizi di cura per la famiglia. Non a caso, la caduta dell’occupazione femminile avviene in corrispondenza della nascita del primo figlio. Quindi, asili nido e servizi di assistenza per le persone anziane non autosufficienti. Sul piano delle politiche, fiscali si tratta di rendere più vantaggiose per le imprese le assunzioni femminili e di introdurre detrazioni fiscali per i redditi da lavoro delle donne, in primo luogo per quelle con figli minori (vedi “Fisco 20, 20, 20”). Sul piano delle politiche del lavoro, occorre sviluppare il tempo parziale agevolato e volontario, facilitare il ritorno al lavoro dopo la maternità, rafforzare i congedi parentali secondo la direttiva europea e ogni altro intervento per favorire la conciliazione tra lavoro e famiglia; promuovere le pari opportunità nelle carriere professionali e le “quote rosa” nei Consigli di amministrazione.


Più in generale occorre sostenere il reddito del nucleo familiare, sostituendo gli assegni e le detrazioni fiscali oggi in essere, con un consistente contributo annuale per ogni figlio a carico a cominciare dalla fascia da zero a tre anni. A creare condizioni di maggior benessere delle famiglie può inoltre contribuire lo sviluppo, per via contrattuale, del welfare aziendale.

La condizione giovanile presenta oggi in Italia connotati di estrema gravità. Non solo, come si è visto, uno su tre è disoccupato, con punte più alte ancora una volta nelle regioni meridionali, ma si diffondono i rapporti di lavoro instabili e sottopagati, spesso poco in linea con la formazione acquisita. Inoltre, vi sono circa due milioni di giovani confinati in una sorta di limbo non essendo né studenti né lavoratori. Siamo quindi in presenza ormai di due generazioni segnate, per quanto attiene le loro prospettive di inserimento professionale e di realizzazione personale, da condizioni peggiori di quelle conosciute dalle generazioni precedenti, mentre ai loro bisogni materiali sopperiscono in larga misura le famiglie d’origine chiamate a svolgere un ruolo di ammortizzatori sociali “naturali”, sempre più difficile da esercitare per la riduzione dei redditi disponibili e l’assenza di una politica sociale di sostegno.

Tornare ad investire sui giovani è quindi essenziale per il futuro del paese sia dal punto di vista economico che della coesione sociale, anche in relazione ad un rapido invecchiamento della popolazione. La prima risposta da dare riguarda l’effettivo esercizio del diritto allo studio a partire dalla lotta alla dispersione scolastica, dal miglioramento dei percorsi educativi a tutti i livelli fino ad arrivare per quello universitario, alla realizzazione di un piano nazionale di borse di studio, assegnate in base al merito e con priorità ai giovani appartenenti alle famiglie con redditi più bassi. Occorre poi assicurare un efficace transizione tra scuola e lavoro. In questo quadro, si colloca la necessità di una riforma e di una rivalutazione del contratto di apprendistato, per restituirlo alla sua vocazione originaria di veicolo di primo ingresso nel mondo del lavoro, sottraendolo all’utilizzo improprio come strumento per l’abbattimento del costo del lavoro, e garantendo il carattere effettivo, qualificato e professionalizzante della sua componente formativa. Allo stesso tempo, occorre sviluppare le potenzialità dell’iniziativa autonoma delle giovani generazioni attraverso il rafforzamento degli interventi fiscali, creditizi e di altra natura, destinati ad incentivare e a sostenere l’imprenditorialità giovanile, l’avvio di attività professionali e di lavoro autonomo.

5. Combattere la precarietà
Le riforme realizzate nell’arco di più legislature hanno introdotto nel mercato del lavoro italiano importanti elementi di flessibilità, in particolare attraverso molteplici tipologie contrattuali atipiche, senza però che queste fossero corredate dai diritti e dalle tutele sociali che invece configurano la “flessicurezza” di stampo europeo. Lo squilibrio tra flessibilità e protezioni sociali, nel quadro di una specializzazione produttiva spesso povera, è all’origine di un’estesa precarizzazione dei rapporti di lavoro. L’uso distorto dei contratti atipici ha permesso una “fuga dal costo del lavoro e dai diritti”, come illusoria scorciatoia per la competitività, in alternativa a quella, di più alto profilo e durata, sorretta da maggiori investimenti nell’innovazione. Non a caso nell’ultimo decennio precedente alla crisi, a fronte della diffusione della precarietà a buon mercato, il rapporto tra capitale investito ed ore lavorate nelle imprese italiane si è ulteriormente allontanato dalle medie dei principali Paesi europei e il contenuto di innovazione incorporata negli investimenti effettuati è stato la metà di quanto rintracciabile negli investimenti di Germania, Francia e altre grandi economie mature. È qui la radice dell’anemia della produttività italiana che non si supera aumentando i ritmi di lavoro.

Per combattere la precarietà, è necessaria innanzitutto un’operazione culturale. Dobbiamo archiviare il paradigma sbagliato e subalterno del “meno ai padri, più ai figli”. E’ un’impostazione efficace ad allontanare dal centro-sinistra i padri, senza riuscire, ad avvicinare i figli. Non ha senso economico, prima che politico, contrapporre la “generazione 1000 euro” dei figli, a quella 1200 euro dei padri. Il conflitto reale, infatti non è generazionale. È sociale. I padri “garantiti” con i contratti a tempo indeterminato nel contesto economico attuale sono una specie in via di estinzione nell’universo del lavoro privato per il prevalere di bassi salari e della crescente insicurezza del posto di lavoro. Per verificarlo, è sufficiente leggere i dati della Banca d’Italia sul drammatico impoverimento dei lavoratori dipendenti, operai ed impiegati, rispetto ad altre classi sociali. Oppure, si può prendere l’elenco dei circa 200 tavoli di “grandi crisi” aperti al Ministero dello Sviluppo Economico. L’apartheid del lavoro non riguarda soltanto i giovani precari. Riguarda tutto il lavoro dipendente esplicito o assimilato ed i settori deboli del lavoro autonomo e professionale. Pertanto, la soluzione non sta nel “contratto unico” e nella rimozione delle protezioni dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. I numeri indicano che la precarietà con l’art 18 ha ben poco a che fare. Tant’è che i contratti precari sono enormemente concentrati nelle micro-imprese e, in generale, nelle imprese con meno di 15 dipendenti, ossia le unità produttive fuori dallo Statuto dei Lavoratori.

Per tornare ad un utilizzo fisiologico della flessibilità in risposta a reali esigenze dell’organizzazione produttiva oltre che a particolari necessità, temporanee o meno delle singole persone, è necessario modificare le convenienze delle imprese, incentivando la stabilizzazione del lavoro e quindi il contratto a tempo indeterminato che del resto la stessa Unione Europea definisce come “forma normale del rapporto di lavoro”.

Si tratta di rendere i rapporti di lavoro stabili meno onerosi di quelli atipici ribaltando la situazione attuale mediante una graduale convergenza degli oneri sociali intorno ad un livello intermedio tra quanto oggi versato per i dipendenti a tempo indeterminato e quanto dovuto per i lavoratori(trici) con contratti atipici. Si tratta, inoltre, di aumentare la contribuzione per l’indennità di disoccupazione e di fine rapporto per questi contratti come per quelli a tempo determinato, salvo che questi abbiano un contenuto formativo. Intorno alla strategia indicata, si articolano interventi complementari quali: l’abolizione del contratto di associazione in partecipazione; la delimitazione degli spazi di applicazione dei contratti a progetto, dei contratti a chiamata e del voucher; la restrizione del ricorso ai contratti a tempo determinato, come previsto del resto dal Protocollo sul Welfare del 2007, anche attraverso accordo tra le parti, per l’introduzione di limiti massimi di utilizzo per azienda o settore in rapporto al complesso dei lavoratori(trici) occupati(e), mentre va incentivata la loro trasformazione in rapporti a tempo indeterminato.

Un altro ambito in cui è urgente pervenire ad una regolazione più stringente è quello degli stages e dei tirocini oggi caratterizzato da frequenti abusi che colpiscono, in particolare, i giovani al momento del loro primo ingresso nel mondo del lavoro. Qui gli interventi devono riguardare i limiti di durata degli stages e dei tirocini; l’esclusione del loro utilizzo per attività manuali ed esecutive o in sostituzione di lavoratori (trici) dipendenti; la garanzia di un contenuto formativo e la fissazione di un compenso, mentre occorre prevedere agevolazioni fiscali e contributive per le aziende che assumono stagisti e tirocinanti alla fine del rapporto.

Questo insieme di provvedimenti di contrasto alla precarietà va infine completato dall’introduzione di un salario minimo legale (strumento presente in quasi tutti i paesi europei) stabilito in relazione a quanto previsto nei contratti collettivi nazionali di lavoro, al fine di creare una soglia non derogabile per la remunerazione di tutte le attività lavorative non altrimenti coperte per via contrattuale.

6. Riorganizzare ed estendere le tutele sociali
La frammentazione del mercato del lavoro ha approfondito le diseguaglianze tra le diverse figure di lavoratori(trici) al punto da rendere ormai indispensabile una riorganizzazione ed un estensione delle tutele sociali con l’obiettivo di realizzare una base comune di diritti, valida per tutte le forme di lavoro, privato o pubblico, dipendente, autonomo o professionale, per ricostruire la “cittadinanza del lavoro” nel XXI secolo. Questa base comune, un diritto unico del lavoro, deve comprendere la garanzia del reddito nei periodi di disoccupazione involontaria; l’indennità di malattia, l’assicurazione per gli infortuni, il diritto al riposo e alle ferie; l’indennità di maternità, che dovrebbe essere riconosciuta tra i “diritti di cittadinanza” prevedendo il relativo finanziamento a carico della fiscalità generale.

E’ in questo quadro che va collocata la revisione e l’universalizzazione dell’indennità di disoccupazione e la riforma della Cassa integrazione guadagni e dell’indennità di mobilità sulla base degli orientamenti definiti nel Protocollo sul Welfare del 2007. La riforma di questi strumenti va completata con l’introduzione di un reddito minimo di inserimento sul modello del “Reddito di Solidarietà Attiva” per combattere la povertà e l’esclusione sociale, in particolare la povertà estrema e minorile. Inoltre, va affrontato il problema delle pensioni delle giovani generazioni di lavoratori e lavoratrici. Noi proponiamo un’integrazione dei contributi effettivamente versati attraverso una quota a carico della fiscalità generale. Inoltre, proponiamo il ripristino dell’intervallo per la scelta dell’età di pensionamento e allineamento dei requisiti per uomini e donne, in un quadro di misure compensative del maggior carico sociale e familiare di cui sono ancora, purtroppo, protagoniste le donne. Nella nostra iniziativa parlamentare, continuiamo a tentare di correggere ingiustizie e penalizzazioni introdotte nel sistema previdenziale con la manovra di Luglio 2010. Inoltre, portiamo avanti la proposta di totalizzazione dei contributi per permettere a tutti i lavoratori, le lavoratrici, dipendenti, autonomi, liberi professionisti di utilizzare ai fini della pensione tutti i contributi maturati in qualunque fondo previdenziale, senza penalizzazioni sul calcolo, a vantaggio, in particolare, delle generazioni più giovani per le quali la contribuzione ad un unico fondo previdenziale è ormai quasi un miraggio.

Come si è detto queste tutele devono essere estese, con modalità appropriate, anche ad artigiani, commercianti, professionisti e lavoratori autonomi, nell’ambito di uno “Statuto del lavoro autonomo e professionale” che includa anche misure fiscali, contributive e di altra natura volte a promuovere ed a sostenere lo sviluppo di questo tipo di attività.

Promuovere tutele più efficaci e generalizzate comporta anche che i rapporti di lavoro si svolgano in un contesto di trasparenza e di legalità. Qui, i problemi da affrontare sono di un duplice ordine. Su un primo versante, si tratta di intensificare la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro rafforzando gli strumenti di controllo e le sanzioni per le violazioni di leggi e contratti e, nel contempo, di sviluppare l’azione di prevenzione. Un provvedimento importante in questo senso sarebbe indubbiamente l’esclusione dal prezzo degli appalti del costo del lavoro e di quello per le misure di sicurezza. Sul secondo versante, si tratta di operare per il rafforzamento della lotta al lavoro nero o comunque irregolare che in tutte le sue varianti, secondo stime recenti, è arrivato a coinvolgere quasi tre milioni di persone, inclusa una quota rilevante di immigrati, costretti non di rado, a vivere una realtà di sfruttamento e di degrado intollerabili. E’ una situazione che richiede non solo il potenziamento delle azioni di contrasto ma anche l’incentivazione dei processi di emersione, mentre per quanto riguarda gli immigrati –di cui l’economia e la società italiane ed europee hanno bisogno– è indispensabile governare realisticamente l’ingresso regolare per scopo di lavoro e realizzare adeguate politiche d’integrazione sociale.

7. Riorientare le politiche del lavoro
Fin qui le politiche del mercato del lavoro si sono caratterizzate più in termini di sostegno al reddito e assai meno per capacità di attivazione della risorsa umana. Gli obiettivi della strategia Europa 2020, sottoscritti anche dal nostro paese, implicano il riorientamento di queste politiche in modo che esse siano effettivamente in grado di ridurre il tasso di inattività, favorire una più larga partecipazione delle donne e dei giovani al mercato del lavoro, sostenere il reinserimento al lavoro dei disoccupati, specie quelli over-45, e più in generale di facilitare la mobilità e le transizioni lavorative sempre più frequenti nella vita delle persone. Sono necessarie sia azioni mirate in relazione alle condizioni specifiche delle diverse figure sociali considerate per agevolarne l’occupabilità ed il potenziamento e la qualificazione della rete dei servizi pubblici e privati per l’impiego in un’ottica di complementarietà. Questi servizi devono porsi in grado di svolgere una più efficace opera di orientamento, di intermediazione e di tutoraggio per accompagnare le persone nella ricerca del lavoro.

La formazione è destinata ad avere un ruolo determinante vista l’obsolescenza e il basso livello delle qualifiche di gran parte dei lavoratori(trici) anche giovani, il disallineamento tra le competenze disponibili e le richieste del sistema produttivo ed il persistere di una segregazione settoriale di genere. Per rafforzare l’offerta formativa comporta di operare su piani diversi ma interconnessi: il miglioramento dei percorsi scolastici di base; il rafforzamento dell’orientamento professionale e il rilancio della formazione tecnica; l’effettivo raccordo tra istruzione, formazione e lavoro; lo sviluppo della formazione continua dei lavoratori(trici) con il riconoscimento e la certificazione delle competenze acquisite ai fini retributivi e della carriera lavorativa; una più organica cooperazione tra Stato e Regioni per una chiara ripartizione di funzioni e risorse finanziarie; uno sviluppo dell’azione delle parti sociali con la contrattazione e gli enti bilaterali.

Nella “società della conoscenza” la formazione continua dei lavoratori(trici) e più in generale l’apprendimento permanente per tutti i cittadini nelle diverse fasi della vita vanno riconosciuti come diritti della persona.


8. Un sistema di relazioni industriali efficiente
Tra i fattori destinati a contribuire alla competitività delle imprese e dell’intera economia ed a promuovere occupazione di qualità, figura il sistema delle relazioni industriali. Questo nel nostro paese è da qualche tempo sottoposto a tensioni ed incertezze che spetta in primo luogo alle parti sociali superare, ma che non possono lasciare indifferente la politica. La democrazia nei luoghi di lavoro è componente fondamentale di una democrazia effettiva.

Il primo problema da affrontare riguarda la definizione delle regole relative alla rappresentanza ed alla democrazia sindacale, in modo da garantire sia l’esigibilità degli accordi sottoscritti e validati dai lavoratori(trici), sia la piena agibilità sindacale nell’azienda anche per le organizzazioni non firmatarie degli accordi. Già nel maggio del 2008 CGIL, CISL e UIL avevano approvato un documento unitario che, frutto di una mediazione tra punti di partenza diversi, era approdato a scelte condivise, in analogia alle norme in vigore per il pubblico impiego, per quanto riguarda: la misurazione e la certificazione della rappresentatività delle singole organizzazioni sulla base di un mix tra numero di iscritti e voti raccolti nelle elezioni delle RSU; la soglia per l’accesso ai tavoli negoziali; la soglia per la validità dei contratti e, infine, le procedure per il voto da parte dell’insieme dei lavoratori, una volta accettati gli accordi da parte dei tre sindacati.

Questo documento costituisce un’imprescindibile punto di riferimento per un’intesa fondata sull’ equilibrio tra le responsabilità negoziali delle organizzazioni sindacali e la partecipazione degli iscritti e di tutti i lavoratori(trici) alla validazione degli accordi sottoscritti, così da superare la pratica degli accordi separati e di favorire l’unità dell’azione sindacale.

Un secondo problema riguarda l’articolazione dei livelli contrattuali. Anche qui, il caso Fiat ha fatto da detonatore per la possibilità di rendere i contratti aziendali alternativi a quello nazionale. Nella condizione del nostro paese, questa soluzione non è accettabile poiché è indispensabile mantenere uno zoccolo di garanzie salariali e normative valide per tutti i lavoratori(trici) dello stesso settore produttivo. Altra cosa è invece riconoscere la necessità di sviluppare la contrattazione di secondo livello per meglio rispondere alle specifiche esigenze dell’organizzazione del lavoro delle singole realtà aziendali e per permettere l’articolazione di una politica retributiva più strettamente collegata a risultati aziendali. In quest’ottica, i contratti nazionali, fortemente ridotti di numero, dovrebbero assumere la veste di accordi-quadro per grandi ambiti produttivi e dei servizi.

Un terzo problema è rappresentato dall’esigenza di introdurre anche nel nostro paese forme e strumenti di partecipazione dei lavoratori(trici) nella governance delle imprese, recuperando un grave ritardo rispetto a quanto avviene da tempo nella maggior parte dei paesi europei. A parte poche esperienze di origine contrattuale e quanto deriva dalla trasposizione in diritto interno delle direttive dell’UE sui diritti d’informazione e consultazione e sui Comitati aziendali europei, la democrazia economica in Italia ha segnato il passo. Proprio nel momento in cui si chiede ai lavoratori(trici) una maggiore corresponsabilità per il successo dei piani produttivi delle aziende, occorre dare loro voce in capitolo nella definizione degli stessi, attraverso loro rappresentanti elettivi, così come prevedere che anche i lavoratori(trici) beneficino, per via negoziale, dei risultati economici dell’impresa.

9. Un progetto di futuro per il paese
A fronte dell’incapacità del centro-destra di realizzare politiche pubbliche in grado di affrontare efficacemente la crisi e di prefigurare, allo stesso tempo, nuove prospettive di sviluppo economico che evitino all’Italia un arretramento nella divisione internazionale del lavoro e fatalmente anche un ridimensionamento della sua influenza politica in Europa e nel mondo, il PD non si è limitato ad un’azione di denuncia e di contrasto del governo nella aule parlamentari e nel Paese. Ha messo in campo una sua proposta -il Programma Nazionale di Riforma– che, fondato sulle scelte contenute nei documenti approvati dall’Assemblea nazionale, intreccia, come è orami indispensabile fare, le politiche nazionali con quelle dell’UE e costituisce la cornice entro cui collocare, le azioni per la promozione dell’occupazione, la riunificazione del mercato del lavoro, la ridefinizione e l’estensione dei diritti e delle tutele del lavoro, qui proposte.

Per raggiungere gli obiettivi indicati, il PD ha presentato e tentato di mettere in agenda della Camera e del Senato progetti di legge ad hoc. Per quanto di competenza dei livelli territoriali di governo, il PD è impegnato a portare avanti gli obiettivi sopraesposti nelle Regioni, nei Comuni e nelle Province, sia da posizioni di maggioranza che di opposizione.

Le proposte del PD rappresentano anche una piattaforma su cui intensificare il confronto ed i dialogo con tutte le organizzazioni di rappresentanza del mondo imprenditoriale dell’industria, dei servizi, dell’agricoltura; con il movimento cooperativo; con le associazioni del lavoro autonomo e delle professioni, così come con le organizzazioni sindacali, nella convinzione dell’importanza del ruolo delle parti sociali per assicurare la crescita dell’economia e della buona occupazione, un’efficace e moderna regolazione del mercato del lavoro, una più equa distribuzione del reddito e, più in generale, un miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori(trici) e delle loro famiglie. E’ da un impegno convergente di tutti gli attori economici e sociali, come di altre espressioni della cittadinanza attiva quali le organizzazioni del Terzo settore, che possono venire non solo un contributo indispensabile per vincere le sfide con cui il paese deve misurarsi ma anche impulsi ed iniziative che sollecitino l’azione politica ad essere all’altezza del compito. E’ in questo spirito e nel rispetto della reciproca autonomia che il PD intende sviluppare, sul piano nazionale e nelle diverse realtà territoriali, i rapporti con il sistema delle imprese, il mondo sindacale e dell’associazionismo.

Fare del lavoro l’asse portante del progetto per il futuro dell’Italia non è una scelta puramente economica ma significa tornare valori e ai principi della Costituzione. Significa riconoscere che il lavoro resta elemento determinante per l’identità e la crescita delle persone e lo strumento con cui esse concorrono al progresso della società. Significa porre le basi di uno sviluppo più umano, più giusto e solidale.

Regolamento della Conferenza Nazionale sul Lavoro

“Persone,lavoro,democrazia” , Genova 17 e 18 Giugno 2011

La Conferenza ha l’obiettivo di approfondire la discussione sul tema del lavoro,sulla sua centralità nella società e per il futuro del paese, rafforzando la presenza del partito nel mondo del lavoro e estendendone la presenza organizzata nei luoghi di lavoro.
1) La Conferenza si terrà a Genova il 17 e 18 Giugno.
2) La Conferenza Nazionale e tutti i suoi momenti preparatori sono occasione di confronto con le forze sociali e politiche,con tutte le componenti della società civile e della cultura interessate a discutere sul tema del lavoro.

Composizione della Conferenza Nazionale


1) La Conferenza Nazionale è composta da 600 delegati eletti dalle Conferenze preparatorie o dai Forum del Lavoro territoriali sulla base delle modalità definite dalle Unioni Regionali .
2) La composizione territoriale dei delegati è definita sulla base di una media ponderata fra i voti ottenuti dal PD alle ultime elezioni politiche e gli iscritti al partito,come da allegato.
3) Sono inoltre delegati di diritto i Parlamentari componenti le Commissioni Lavoro della Camera dei Deputati, del Senato e del Parlamento Europeo,i responsabili regionali lavoro del PD, una delegazione dei Giovani Democratici e una delegazione nominata dal Dipartimento Economia e Lavoro e dal Forum del Lavoro.
4) I criteri di composizione delle delegazioni elette ,oltre a rispettare la differenza di genere, debbono cercare di rappresentare tutta l’articolazione del mondo del lavoro, dipendente e autonomo,privato e pubblico,dei diversi mestieri e professioni.


Conferenze e Assemblee territoriali preparatorie

1)Le Assemblee e le Conferenze preparatorie si tengono a livello di circolo e di Unione Provinciale/Federazione. Le Unioni regionali regolamentano il loro svolgimento direttamente o delegandolo alle Unioni Provinciali/Federazioni.

2)Alle Assemblee preparatorie di Circolo partecipano gli iscritti con diritto di parola e di voto. Le Assemblee come prevede lo Statuto sono aperte agli elettori.

3)Le Unioni regionali nella ripartizione territoriale dei delegati da eleggere alla Conferenza Nazionale debbono attenersi ai criteri voti/iscritti definiti dal regolamento nazionale.

4)Le Unioni Regionali possono decidere di tenere un’unica Conferenza Regionale,anziché le Conferenze Provinciali/Federazione.


Documenti della Conferenza

1)La segreteria,su proposta del Dipartimento Economia e Lavoro, approva il documento politico e programmatico alla base della Conferenza. Il documento,a cui viene data una larga diffusione,viene sottoposto alla discussione e alla votazione delle Assemblee e Conferenze preparatorie.

2) Le Assemblee e le Conferenze preparatorie avanzano proposte emendative e integrative al documento. Le proposte emendative e integrative approvate dalle Conferenze Provinciali/Federazioni e Regionali sono sottoposte alla discussione e alla votazione della Conferenza Nazionale.

3)Le Assemblee e Conferenze preparatorie possono proporre inoltre documenti specifici e ordini del giorno connessi al documento base,oltre che inerenti a questioni locali e territoriali.

4)Il documento finale della Conferenza Nazionale viene sottoposto alla discussione e alla votazione della Direzione.

“La Cultura della Sicurezza”di Nunzio Leone


Si segnala il nuovo libro dell’avvocato Nunzio Leone, giuslavorista, formatore e giornalista, uscito per i tipi della Scorpione editrice.
LA FORMAZIONE NELLA SICUREZZA SUL LAVORO (Avv. Nunzio Leone)
La realtà odierna richiede alle organizzazioni aziendali di gestire ed utilizzare al meglio le intelligenze e le diverse individualità operanti al suo interno, le risorse umane intese come vantaggio competitivo, in cui ciò che fa la differenza è la conoscenza applicata al lavoro.Ne consegue che, attuando percorsi formativi mirati al miglioramento delle conoscenze e delle abilità dei diversi protagonisti aziendali, per un’impresa la formazione costituisce un investimento in capitale umano e non una mera voce di costo.
La formazione intesa come apprendimento e cambiamento, acquista grande importanza soprattutto se applicata al campo della salute e della sicurezza sul lavoro.Un sapere che permetta di acquisire consapevolezza della propria competenza e che, di conseguenza, determini azioni e comportamenti sicuri per l’incolumità di tutti.Si colloca in quest’ottica il libro “La Formazione nella Sicurezza sul Lavoro” dell’avv. Nunzio Leone, giuslavorista, formatore e giornalista, uscito per i tipi della Scorpione editrice.Il testo intende analizzare il ruolo degli strumenti gestionali offerti dalla formazione alla luce del Testo Unico in materia di sicurezza (D.Lgs. 81/08), promuovendo e divulgando la “cultura della tutela sui luoghi di lavoro e della prevenzione”quale fondamento della vita umana, dell’etica del lavoro e della responsabilità sociale delle imprese.
L’autore del libro, che unisce un’intensa attività di giurista e quella di formatore impegnato in aula, persegue l’obiettivo di accompagnare, con professionalità e calore umano, i diversi attori aziendali sulle vie della formazione quale momento “magico” per acquisire conoscenza, consapevolezza del proprio ruolo e dei rischi legati alle mansioni svolte.Nel dialogo fecondo con i diversi interlocutori presenti nelle aule formative, Nunzio Leone approfondisce il significato del suo lavoro di formatore da cui trae costantemente spunti per ulteriori riflessioni di verifica e di ricerca scientifica.Il traguardo ideale dell’infortunio zero si raggiunge attraverso l’investimento in sicurezza e in un sistema di prevenzione e protezione efficace. Gli uomini e le donne chiamati ad attuarli, sono paragonabili alle “sentinelle” che, dalle torri di antiche mura, vigilavano per proteggere il popolo e i loro sovrani. La sentinella, avvistato il pericolo, era pronta ad intervenire non solo per salvare se stessa, ma anche il suo popolo, il suo Re e la città tutta.Solo ponendosi in un’ottica collettiva può darsi il giusto valore sociale ed umano ad un ambiente di lavoro ed il giusto peso alla prevenzione degli infortuni, perché l’infortunio sul lavoro o la malattia professionale colpiscono tutto il mondo lavorativo e sociale.Il volume di Nunzio Leone è scritto da un professionista la cui ispirazione non è stata guidata solo dal suo sapere, ma anche dalla passione per la Legge e dell’attenzione per la dignità dell’essere umano. Un libro alla portata di tutti da cui trarre spunti per profonde riflessioni. Non solo un manuale per gli “addetti ai lavori” ma una lettura interessante per chiunque voglia approcciarsi all’argomento o comprendere il Testo Unico che traccia il percorso da seguire, donando trasversalmente un senso di rispetto e dignità al lavoro e ai lavoratori di ogni settore e categoria di appartenenza.