
Il manifesto programmatico di Dario Franceschini
E' stato detto che il populista pensa alle prossime elezioni, il riformista alle prossime generazioni. Ecco. La destra italiana pensa sempre e solo alle prossime elezioni. Noi democratici pensiamo prima di tutto alle prossime generazioni. Qui si apre lo spazio per un nuovo riformismo.
Un riformismo che abbia il coraggio di sfidare le destre non rincorrendole, non limitandosi a proporre correttivi ai modelli economici e sociali che ha imposto, ma mettendo in campo una gerarchia di valori alternativa e proiettata sul futuro.
Abbiamo bisogno di riforme che correggano le gravi distorsioni nella distribuzione del reddito e del mercato del lavoro, che rilancino la mobilità sociale; riforme per valorizzare un capitale umano e sociale che si sta impoverendo; scelte di politica industriale che sostengano l’innovazione e la ricerca, che sono beni pubblici e non solo requisiti di mercato.
Queste sono le sfide che noi vogliamo raccogliere: a differenza della destra, vogliamo dire con forza che noi crediamo che dalla crisi possa uscire un'Italia migliore, non quella di prima. Un'Italia che proprio attraversando le difficoltà riscopre i valori fondanti della solidarietà, delle comunità locali, dell'essere una nazione. Che recupera il senso di una grande missione collettiva in cui i talenti di ognuno sono a disposizione non solo di se stessi ma del proprio Paese. Il Partito democratico è una grande forza che crede nel futuro. Che crede nelle riforme come chiave per il cambiamento di cui l'Italia ha bisogno da anni per uscire dalla stagnazione e dall'immobilismo. Vogliamo ricostruire un'identità del nostro campo, quello dei democratici, e farci capire dagli italiani con parole chiare.
Parole che raccontino il nostro essere riformisti.
La prima è fiducia.
Fiducia è la risposta alla paura che la destra alimenta e cavalca parlando di sicurezza. Paura della crisi, paura di perdere il lavoro, dell'immigrato, della criminalità, della povertà, della solitudine. Paura per il futuro del mondo e per i nostri figli che dovranno viverci. Contro queste paure la fiducia è la strada che vogliamo intraprendere per uscire dalla crisi con un’Italia più forte e moderna.
Tutte le nostre politiche, tutte le nostre proposte concrete devono essere costruite attorno a questo messaggio positivo.
Dalle misure per proteggere i lavoratori e i cittadini dalla crisi, alle riforme economiche necessarie a dare prospettive a famiglie e imprese. Fino alle riforme istituzionali che ridiano fiducia ai cittadini in uno Stato e in una politica che debbono essere basati sulla trasparenza e sull'efficienza.
La seconda parola è regole.
Noi vogliamo buone regole che oltre a sancire diritti, stabiliscano doveri e responsabilità, garantiscano la sicurezza collettiva e fondino la convivenza di comunità aperte, capaci di integrazione e di vera solidarietà.
Di regole ha bisogno l'economia perché la loro assenza è la causa principale della destabilizzazione dei mercati finanziari e degli squilibri nell'economia reale.
E proprio all'economia e alle imprese servono regole semplici e stabili che garantiscano il corretto svolgersi della concorrenza, che rompano i conflitti di interessi che in Italia sono diventati silenziosamente accettati, come fossero normali, che rendano più semplice ed efficiente il rapporto tra istituzioni e cittadini.
Perché un sistema pubblico funzionante è necessario per attuare le riforme, e per garantire la effettiva fruizione dei diritti dei cittadini, dalla giustizia all’istruzione, ai servizi pubblici.
Lo stesso patto di lealtà fiscale ha come necessario presupposto che il cittadino sappia che i suoi soldi non vadano a finanziare spreco e inefficienza.
La terza parola appartiene al vocabolario storico del campo progressista, ed è uguaglianza.
Uguaglianza non come appiattimento delle differenze ma come valorizzazione delle diverse capacità delle persone, come uguaglianza delle opportunità, da sostenere non solo nelle condizioni di partenza ma nel corso della vita di ciascuno.
L'Italia ha purtroppo un primato negativo: ha visto crescere le diseguaglianze tra i redditi, ha visto aumentare le distanze tra pezzi del suo territorio, tra Nord e Sud. Vede consolidarsi la diseguaglianza tra i generi in una condizione che penalizza la libertà delle donne, i loro diritti, la loro rappresentanza anche nella politica.
Nell’Italia di oggi parlare di uguaglianza significa denunciare un blocco dell'ascensore sociale che ostacola la possibilità delle persone di sviluppare le proprie capacità. Sono queste le diseguaglianze che sottraggono ai nostri giovani le aspettative dei coetanei di altri paesi europei, che impediscono al figlio dell'operaio di avere le stesse opportunità nella sua vita del figlio del notaio.
Noi vogliamo cambiare questo destino che la destra ritiene inevitabile.
Vogliamo invertire la tendenza partendo da proposte immediate, da politiche attive che rimettano al centro della politica il grande tema della dignità del lavoro in tutte le sue forme, di un nuovo welfare, di investimenti in formazione, ricerca, infrastrutture, per colmare il divario con le aree svantaggiate del Paese. E anche investimenti per vincere la battaglia della legalità che è una grande questione nazionale. .
La quarta parola è merito.
Per sottrarsi alla retorica della meritocrazia occorre che il merito divenga la chiave della vita sociale e sia concepito come la leva fondamentale per superare molte delle ingiustizie sociali che opprimono la nostra società, per rimettere in moto la mobilità sociale.
Merito per noi significa riconoscere e valorizzare le capacità delle persone, significa avere la speranza di migliorare la propria vita e quella dei propri figli.
Merito non vuol dire competizione sfrenata ma riconoscimento dei talenti, dell'impegno, del valore del lavoro.
Oggi la società italiana è prevalentemente organizzata su sistemi di cooptazione basati su relazioni familiari, professionali, politiche, sindacali, associative o di altro genere.
Relazioni che condizionano l'accesso a carriere pubbliche e private, alle professioni come allo svolgimento di attività di impresa in una serie di settori protetti da potenti barriere.
La nostra battaglia deve rompere questo immobilismo, settore per settore, pubblico e privato.
Deve innestare radicali cambiamenti per aprire tutti i campi e per investire sulla intelligenza e la creatività dei ragazzi italiani.
L’ultima parola è qualità.
Puntare sulla qualità significa puntare sull'eccellenza italiana, sulla parte alta della filiera produttiva, dove contano di più la creatività e il capitale umano.
Significa investire in conoscenza. Scuola, università, ricerca, innovazione, cultura.
Significa valorizzare la capacità di produrre o di inventare cose che piacciono a un mondo voglioso di qualità. Significa valorizzare l’originalità italiana, ciò che ci rende unici al mondo e che non può essere imitato: il nostro patrimonio culturale, il nostro ambiente, i nostri territori e le loro ricchezze.
Dare un contenuto nuovo a queste parole significa mettere in campo il nostro riformismo per cambiare l’Italia e contrastare la conservazione.
Per questo serve accelerare la costruzione del partito.
Un partito che coltiva le diversità culturali al suo interno come una ricchezza, ma che cerca e trova la sintesi. Un partito laico e plurale. Un partito che fa della contaminazione tra le visioni del mondo e le culture politiche al proprio interno, un argine efficace contro tutti gli integralismi e i fondamentalismi, religiosi come ideologici.
E soprattutto un partito aperto. Che spalanca i propri gruppi dirigenti a quelle persone, soprattutto a quei giovani e quelle donne, che non hanno appartenenze precedenti e che hanno scelto di cominciare il loro impegno politico con il Pd.
Quelli che vorrebbero entrare e impegnarsi ma spesso non sanno nemmeno a che porta bussare e invece abbiamo un bisogno enorme della loro freschezza e delle loro energie.
Un partito in cui il rinnovamento necessario dei gruppi dirigenti non ha nulla a che vedere col "nuovismo" scelto dall'alto, ma significa valorizzare e investire sull'esperienza e sul radicamento territoriale di sindaci, di amministratori, di segretari provinciali e coordinatori di circolo, di parlamentari e quadri del partito.
Un partito che difende come oro la forza dei propri militanti, ma che sa anche che nella società di questo secolo esistono altre forme di partecipazione a un progetto politico, meno stabili ma non per questo meno vere e appassionate.
Un partito capace di affiancare nelle sue scelte gli iscritti e gli elettori, attraverso lo strumento irrinunciabile delle primarie.
Gli elettori del Pd non sono estranei, sono parte di noi. Sono quelli che arrivano nelle grandi mobilitazioni civili, che ci sostengono nelle campagne elettorali, che riempiono le piazze e i comitati.
Poi un partito nazionale e federale insieme che, dentro una missione unitaria, lasci ai partiti regionali risorse finanziarie, autonomia politica e statutaria nella scelta del modello organizzativo, delle alleanze, dei candidati, delle priorità programmatiche.
Un partito infine radicato sul territorio, che vuole avere un circolo in ogni paese, in ogni quartiere con una sede aperta.
Circoli che non siano solo luoghi per misurare i rapporti di forza nei congressi o per comporre organi e giunte, ma che si occupino del territorio e dei problemi delle comunità locali in cui sono. Circoli come antenne per ascoltare e capire l'Italia. Circoli che sono nati liberi e vogliono restare liberi.
Un Patto con i Circoli: questa è la mia proposta per il congresso. Un Patto che rispetti la pluralità di culture che arricchiscono il partito. Che non le teme. Che non cerca di fare prevalere una identità sulle altre.
L'arcipelago di storie e provenienze che sostengono la mia candidatura non è un limite è una ricchezza.
Sarà mia la responsabilità di fare sintesi, e di trasformare in un messaggio condiviso e unico questa varietà di posizioni. Che sono però la migliore garanzia che il Partito Democratico resterà fedele all'idea che l'ha fatto nascere.